MARMO D’ARTE
MARMO ARTIFICIALE
MARMO IN SCAGLIOLA

Da oltre 18 anni, faccio della mia passione per la tecnica del marmo d’arte o artificiale il centro di una vasta produzione dedicata a rivestimenti, complementi e gioielli artigianali. 

 All’interno del mio laboratorio Bottega Arteidea a Gattinara, creo a mano opere uniche, riproducendo fedelmente le venature dei marmi con colori personalizzati a piacere del cliente, aiutandolo a valorizzare con eleganza qualsiasi ambiente della sua abitazione.

Cenni storici e origini del marmo artificiale

Il nome proviene dalla parola ‘artifizio’, cioè prodotto a mano, e vista la grande maestria artistica che si utilizza nel crearlo viene chiamato anche marmo d’arte.

Questa lavorazione venne utilizzata per sostituire il marmo reale dove non c’era la possibilità di utilizzare la materia naturale primaria, a causa della zona geografica o soltanto per motivi di trasporto, grazie alla sua grande possibilità di applicazione nel rivestire forme curve o di svariati profili ornamentali, alla sua leggerezza e alla sua estrema bellezza artistica. 

La tecnica per la composizione dell’impasto era un sapere tramandato da padre in figlio e tenuto segreto.

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Quest’antica tecnica venne utilizzata fin dalla fine del ‘700 da abili artigiani di Rima, un piccolo paese con origini Walser della Val Sermenza, i quali con grande maestria la esportarono in tutto il mondo ornando svariati edifici di grande prestigio. Da ricordare sono varie famiglie: Guilietti, de Paulis, Viotti, Giavina, Bastucchi, Rappa, Detoma, Axerio e per ultimi i Dellavedova, tutti furono grandi decoratori, scultori, stuccatori, scalpellini, artisti e grandi imprenditori.

Le ditte più affermate dell’800 furono quelle di Antonio De Toma Senior e successivamente il figlio Antonio Jr., che operarono in Svezia, Norvegia, Ungheria, Prussia e Austria. Nell’Ottocento a Vienna, l’imperatore Francesco Giuseppe gli affida molti lavori in vari palazzi di prestigio, residenze imperiali dei banchieri ebrei e molteplici commissioni per baroni, re e regine.

Antonio venne nominato Cavaliere dell’Ordine di Francesco Giuseppe e decorato della Croce d’oro di Merito dalla Corona Austriaca. A Roma, Papa Leone XIII lo nomina Cavaliere dell’ordine di San Gregorio e Vittorio Emanuele, Re d’Italia, lo eleva al grado di Commendatore.

Antonio Jr. morì a Varallo nel 1895 e succedettero le ditte della famiglia Axerio Piazza (che lavorarono prima a Berlino poi a Mosca e a San Pietroburgo) e la famiglia Axerio Cilies (Romania, Svezia e Russia): queste ditte erano nate dall’azienda Detoma e successivamente si resero autonome lavorando fino al 1917, quando con la rivoluzione dovettero abbandonare i cantieri per salvarsi.

Pietro Axerio-Cilies, sotto la guida di Antonio Detoma, durante i lavori nel castello dei banchieri Rotschild, conobbe il futuro re di Romania (Carol) il quale colpito dai stupendi lavori gli propose di trasferirsi in Romania per applicare la tecnica in palazzi ed edifici della capitale.

La sua ditta iniziò a costruire interi palazzi e non solo per le eccezionali finiture in marmo artificiale: nei primi anni del 1900 la sua ditta raggiunse più di 3000 dipendenti.

Tra le opere più imponenti della famiglia Axerio–Cilies ci fu l’Università in Romania, la chiesa di Doamma Balasà, opere nel palazzo reale a Bucarest e nella reggia di Sinaia, lavorarono nel grandioso castello dei Rotschild, stimatissimi dalla famiglia reale rumena decorarono vari edifici pubblici e privati, a Vienna e per l’impero austro-ungarico.

La sorte di condurre l’azienda del padre toccò ai due fratelli Giulio e Antonio Axerio-Piazza, fino a raggiungere una dimensione imprenditoriale a livello europeo: la loro azienda di Berlino si impose in Germania e offriva una vasta gamma di lavorazioni artistiche e decorazione. Giulio e Antonio, con l’aiuto di Antonio Ragozzi, diedero vita a una piccola autentica epopea con la loro attività imprenditoriale verso la Russia Zarista e lavorarono a San Pietroburgo nell’hermitage, dove decorarono gli interni di saloni. Tutto finì durante la Rivoluzione Russa e per salvarsi abbandonarono tutti i lavori e la maggior parte dei loro averi.

La ditta Dellavedova succedette a queste ultime, nei primi del 1900, Giovanni con il padre Cristoforo e successivamente con il figlio Silvio nato ad Amburgo nel 1931.

Operarono in tutta Europa, in Africa, Norvegia fino nel 1933 quando anche loro scapparono dalla Germania con l’avvento al potere di Hitler e si trasferirono a Torino dove iniziarono a diffondere la prestigiosa tecnica, operando in chiese a Moncaglieri, Bistagno, Nizza Monferrato, Grignasco, Novara e altre ancora.

Ebbero un grande riconoscimento dal grande Architetto Portalupi, il quale gli diede l’incarico di rivestire le colonne delle sale napoleoniche della Pinacoteca Brera di Milano, e ad Asti realizzarono le colonne, lesene e balaustre della Basilica “Madonna del Portone”.

I Dellavedova, abituati a grandi spostamenti come le famiglie delle precedenti epoche, avevano cantieri in vari continenti.

Giovanni nel 1949 lascia al figlio Silvio il compito di terminare il cantiere ad Asti e inizia un lavoro a Casablanca in Marocco: un rivestimento di scaloni e colonne di un palazzo di una banca, successivamente ad Algeri per rivestimenti di pareti al Municipio, a Marrakech realizzarono un salone in Lapislazzuli, a Menes il palazzo della posta e sala del palazzo comunale con 32 colonne rosse: “Sembrano incendiarsi al sole del tramonto” ricorda con emozione Silvio Dellavedova.

Giovanni muore nel 1963 e con l’arrivo di tecniche chimiche moderne, la maestosa bellezza del marmo d’arte viene accantonata da architetti e committenti. Silvio, non potendosi adeguare a operati di bassissima qualità artistica, decide di andare a lavorare in Fiat.

Silvio nel 1986, ormai in pensione, fa ritorno a Rima in Val Sermenza, quasi con una incombenza morale inizia a tramandare i saperi della tecnica: per due anni andò a insegnare in una scuola d’arte di Varallo Sesia e poi si dedicò a fare corsi presso il comune dove abitava.

Il maestro Silvio Dellavedova insegnò i suoi segreti del marmo d’arte dal 1998 a vari allievi e allieve, uno tra i quali fui io, Matteo Libanoro: iniziai a seguire tutti i suoi corsi per quattro anni, cercai di aiutarlo in tutti i suoi lavori di restauro presso cantieri creati in anni precedenti, iniziai ad aiutarlo in corsi successivi insegnando a mia volta fino alla sua approvazione totale e con una splendida lettera che mi scrisse dove descriveva il mio operato con stima e ammirazione.

Lavoro dal 1999 con la tecnica del marmo d’arte; in passato ho avuto spesso il piacere di essere aiutato da Silvio, ho esposto in diverse fiere del settore artistico e del restauro dove con grande piacere mi veniva a trovare.

Con grande stima posso dire d’avere avuto un Grande Maestro d’Arte, un uomo con un grande cuore, per me era come un “terzo nonno”, con tutta la sua famiglia, Anita la moglie e i figli.

Ho insegnato presso vari istituti d’arte e restauro: a Torino presso la scuola di Artigiani Restauratori M. Rossi, ho tenuto un corso presso i laboratori di restauro di Venaria Reale e presso i Laboratori dei Musei Vaticani.

Materiali, tecniche ed attrezzature

Il marmo artificiale o d’arte è composto dalla scagliola, ossia pigmenti in polvere e colla animale diluita in acqua.

La scagliola ha origine dal gesso chimicamente chiamato solfato di calcio ed è tra i minerali più teneri e tra i più diffusi sulla terra. Questo minerale viene chiamato anche selenite o pietra lunare e si presenta sotto forma di cristalli di diverse forme, prismatici, tabulare, a germinazione o lamellari brunite.

Utilizzato in edilizia, in medicina, nell’industria siderurgica, nell’agricoltura, da scultori, decoratori e nel nostro caso trasformato in scagliola.

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Il minerale estratto dalle cave viene avviato alla trasformazione mediante una cottura, detta anche calcinazione, scaldato a 128 C°, dove il gesso perde una molecola di acqua diventando solfato di calcio semidrato trasformandosi nella cosi detta scagliola o gesso da presa, sotto forma di polvere e quindi nuovamente a contatto dell’acqua si reidrata e dopo qualche minuto fa presa e solidifica.

La qualità del prodotto finale dipende dalla purezza del minerale naturale e dalla corretta lavorazione industriale. La scagliola, nella storia, fu spesso utilizzata da artigiani scagliolisti per creare decorazioni nel campo artistico grazie alle sue qualità.

Per creare le malgame con la scagliola, oltre all’acqua viene aggiunta una parte di colla di origine animale, in percentuali diverse in base al tipo di lavorazione. La colorazione della scagliola avviene aggiungendo i pigmenti colorati di origini diverse e in quantità svariate in base al tono da ottenere. Le origini dei pigmenti sono diverse: terre naturali, pigmenti naturali di origine metallica e a base organica sintetica chiamati aniline.

Per creare i vari colori, che daranno origine al marmo d’arte, si mischiano i pigmenti con la scagliola a secco (senza acqua) in quantità diverse e, in base alle venature da creare, si faranno vari sacchetti; alcune tecniche richiedono la preparazione di 50 o più toni, più sarà elevata la quantità e più il lavoro finale sarà bello.

Ogni lavorazione ha quindi una grande preparazione cromatica e delle vere ricette composte dalle percentuali di colori mischiati assieme per ottenere il giusto abbinamento che imiterà le venature dei marmi esistenti.

Le tecniche possono essere suddivise in due gruppi di creazione, quella a “bagnato” e a “secco”.

La prima consiste nell’impastare la scagliola, colorata in precedenza in diversi sacchetti, su di un tavolo utilizzando delle cazzuole, spatole, lame, con acqua e colla naturale in dosi diverse in base alla lavorazione da creare: si otterranno impasti più o meno bagnati che poi uniti tra di loro formeranno le venature.

Il metodo “a secco” è l’accostamento dei vari toni di colore mediante lavorazioni asciutte, utilizzando le cazzuole, setacci, creando le varie venature e accostamenti dei colori solo con le polveri e poi bagnati tutti assieme.

Gli impasti ottenuti mediante varie lavorazioni hanno varie consistenze in base alla tecnica di creazione e, dalla quantità di acqua con colla utilizzata, si possono stendere come rivestimento per pareti, pavimenti, colonne, archi, tutti i vari elementi architettonici e per oggetti d’arredo come tavoli, consolle, piani per mobili, vasi di tutti i tipi.

Questa è un’antica tecnica che potrebbe sostituire la pietra reale in diversi casi, grazie alla sua leggerezza, alla sua malleabilità nella lavorazione, al suo grande pregio per essere personalizzata nei colori, nelle forme e nella creazione di venature uniche.

Nella creazione d’impasti come il malachite verde, il lapislazzuli blu, la sodalite, il nero antico, il rosso porfido e altri ancora, è anche molto più economica rispetto alle pietre naturali.

Poi c’è l’aspetto del rispetto per la natura: grazie all’utilizzo di questa tecnica calerebbero le continue estrazioni di marmi e pietre che deturpano intere montagne o aree geografiche.

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